martedì 29 luglio 2014

La Concordia è a posto (tutto il resto no)

È singolare tutto il can-can mediatico scoppiato intorno all'epilogo della vicenda della Costa Concordia, del suo mesto ritorno in porto, della celebrazione delle esequie di un ex gigante del mare, in attesa che questo enorme cadavere metallico venga definitivamente smembrato e rottamato, come per porre fine ad un lungo incubo.

La notizia è stata negli ultimi giorni in prima pagina su tutti i giornali ed in primo piano in tutti i notiziari televisivi. Notizia magari di rilievo, da commentare, ma sicuramente non di pari importanza che ne so, ad una sanguinosa guerra in Palestina, o ad una altrettanto grave e preoccupante situazione in Ucraina. E invece giorno dopo giorno, per tutta la durata del suo lento cammino la Concordia era lì placida, che solcava i nostri teleschermi mentre la voce del giornalista (a volte fuoricampo e a volte in primo piano davanti all'azzurro mar Tirreno) raccontava ammirata dei dettagli tecnico-ingegneristici dell'operazione, con immancabile il servizio che ripercorre tutta la vicenda fin dall'inizio ("vada a bordo, cazzo!").

Ora, è innegabile che l'operazione, terminata con successo e realizzata da un consorzio italo-americano , sia stata un impresa unica e grandiosa nella storia del recupero di relitti fin dal parbuckling, il raddrizzamento della nave, ma tutto ciò non spiega l'eccessivo clamore, la suspence e le vittoriose celebrazioni  finali. L'arrivo della Concordia a Genova, una notizia che avrebbe dovuto al massimo conquistare le prime pagine dei giornali locali liguri, ha invece catalizzato l'attenzione di tutti i media italiani in tutta la durata dell'evento. Ma questo solo in Italia, e non altrove. Se il parbuckling aveva giustamente suscitato attenzione nei media stranieri, poco è stato invece l'interesse dimostrato da questi per il suo ultimo viaggio verso Genova. 

Il "Guardian" on-line ha però dedicato un interessante articolo alla vicenda nel quale rimarca la consistente e "jubilant" copertura dell'evento data dai media italiani, come se il successo dell'operazione dovesse dare un prezioso incoraggiamento ad un Paese che, ahinoi, si trova proprio nelle condizioni della Concordia, ma forse ancora adagiato su un fianco. In effetti, durante la rotazione della nave lo scorso gennaio, in molti hanno paragonato il raddrizzamento del relitto al raddrizzamento dell'Italia. Che fantasia.

Ma non è così che si salva un Paese. Non stando a guardare. Non con inutili maestose celebrazioni. Se l'euforia di una buona notizia serve a farci dimenticare le questioni davvero importanti che deve affrontare il nostro Paese, la necessità di riforme, la lotta agli sprechi e all'evasione fiscale, questa Italia non solo è ancora lontana dall'imboccare la strada per un porto sicuro, ma è nel bel mezzo del naufragio.

venerdì 4 luglio 2014

Il "formidable" Belgio tra euforia e divisioni


La trepidazione nelle strade di Bruxelles per la partecipazione del Belgio a questi campionati mondiali era già palpabile tempo prima dell’inizio ufficiale della competizione calcistica. Dalle finestre delle abitazioni spuntavano parecchie bandiere del Regno e le automobili circolavano con dei buffi copri-specchietto in tessuto con i colori del Belgio. È vero, Bruxelles, un’enclave a straripante maggioranza francofona in terra fiamminga non rappresenta in maniera autentica l’intero popolo belga, ma anche nelle Fiandre si poteva respirare un certo entusiasmo, se anche il leader del partito separatista fiammingo, Bart De Wever, ultimamente uscito vincitore dalle recenti elezioni politiche, ha confidato di seguire le gesta dei «diables rouges» e cioè di una compagine così forte che non si era mai vista.

Il Belgio, infatti, può legittimamente avere importanti ambizioni per questo mondiale , e i risultati lo stanno confermando. Il successo, però, non è arrivato per caso. È per merito della federazione calcistica belga e del suo massimo dirigente Michel Sablon che, dopo anni bui in cui il Belgio era sparito dalla geografia calcio, ha deciso di rifondare questo sport  sulla base di due elementi chiave: i giovani e l’integrazione di promettenti stelle del calcio straniere. La formazione belga, infatti, caratterizzata da un'età media inferiore ai 25 anni, vede al suo interno oltre che la storica componente vallona e fiamminga, anche la presenza di belgi di seconda generazione o naturalizzati, oramai la maggioranza della compagine. Fuori dal campo, un’altra stella nazionale belga è il cantante Stromae, di padre rwandese e madre fiamminga, cantante francofono che nonostante la giovane età ha già guadagnato la ribalta internazionale.

Giovani e integrazione, abbiamo detto. E se questi non solo ad essere gli ingredienti per far ripartire una squadra, fossero anche gli ingredienti per far ripartire un Paese? Dopo essere stato uno dei paesi che ha meglio reagito alla crisi, il Belgio ha arrestato la propria crescita, scendendo anche a tassi di variazione del PIL negativi, provocando una fuga di cervelli all'estero.  Il modello «mondiale» del Belgio potrebbe ben funzionare in un Paese così variegato, così diviso, ma nel contempo così forte. Una ricetta che ovviamente non dovrebbe seguire solo il Belgio, ma anche il resto dell’Europa che arranca.


Certo, se la poltrona del primo ministro belga dovesse ancora rimanere vacante, Elio Di Rupo infatti si è dimesso dopo la sconfitta elettorale dello scorso 25 maggio e Bart De Wever è la persona incaricata di formare il nuovo governo, piuttosto che rimanere altri 500 giorni senza un governo, come avvenuto con la crisi istituzionale del 2011, un pensierino su Sablon alla guida del Paese sarebbe lecito farlo.